Arte Articoli Criminalità Scrittura Self publishing Social Sociologia

Il mondo Yakuza in “Black Sakura”

Quando ho iniziato a progettare l’universo in cui avrei inserito Black Sakura: a Yakuza story, mi è stato subito chiaro che non avrei mai potuto prescindere da uno studio approfondito della particolarissima mafia giapponese.

Così lontana dal mondo occidentale, non solo per struttura, ma soprattutto per storia, cultura e metodologie.

Ne ho parlato a lungo su Instagram, ma qui è obbligatorio riassumere gli aspetti più importanti, quelli che mi hanno guidato nella creazione del contesto dove si muovono Aaron, Taysuke, Shiro e i loro clan, cercando di essere il più fedele possibile sia alla realtà che al mio personale motto: nello scrivere di criminalità, non si edulcora né si romanza nulla!

Genesi della Yakuza

Il termine Yakuza (spesso sostituito dalla parola Gokudo) ha una derivazione goliardica. Si tratta del punteggio più basso raggiunto in un gioco di carte nazionale giapponese, ossia 8-9-3 (ha-kyuu-sa, da cui deriva appunto ya-ku-za).

Ciò che la rende peculiare, e diversa da tutte le altre forme di criminalità organizzata, è la struttura a gerarchia patriarcale orizzontale – completamente priva di legami di sangue, che anzi non sono visti di buon occhio – e la suddivisione in “quartieri d’azione”, privi di una precisa distinzione territoriale.

I clan Yakuza amano definirsi “onorata società” (ikka, sindacati) perché il loro rigido codice morale ricalca l’antico Bushido e ne mantiene gli aspetti caratteristici di onore, fedeltà e lealtà, in netto (e ipocrita) contrasto con la violenza e sadismo dei loro metodi.

Wakamono no kokoroe: regole per giovani Yakuza

Sapevate che in Giappone non è illegale essere affiliati a un clan Yakuza?

Sono visti dalla popolazione come una specie di vigilanti, tutori dell’ordine e addirittura benefattori.

Quello che è illegale sono i metodi (molto violenti) che usano per mantenere quest’ordine sociale.

Uno dei principali strumenti usati dai vari gruppi Yakuza per esercitare il controllo sugli uomini che ne fanno parte è il cosiddetto Wakamono no kokoroe, letteralmente “regole per giovani Yakuza“.

Il rispetto totale del codice è premiato con soldi e avanzamenti di grado, ma le cose cambiano alla minima infrazione.

L’infedeltà è punita in vario modo (rasatura dei capelli, isolamento e reclusione, multe pecuniarie fino all’allontanamento temporaneo dal sindacato). I casi più gravi vengono puniti con il rinchi (linciaggio), lo yubitsume (l’amputazione delle dita), hamon e zetsuen (espulsioni temporanee o definitive del sindacato) e la morte.

C’è molta confusione, di certo voluta, su quali siano effettivamente queste regole. Possono variare di sindacato in sindacato, ma sicuramente tutti hanno almeno cinque elementi comuni, che sono:

  • Obbedienza ai propri superiori
  • Non tradire il sindacato o i compagni
  • Non sperperare i fondi dell’organizzazione
  • Non creare conflitti interni
  • Non toccare le donne dei membri del sindacato

Questo codice viene applicato tramite il giri (dovere), che è l’obbligo morale che prende le mosse dal concetto del Bushido (il codice d’onore dei samurai, implica lealtà, fedeltà e gratitudine) e tramite gli irezumi, i tatuaggi rituali.

Yubitsume

Si tratta della più comune forma di punizione/ammenda, retaggio pressoché esclusivo della Yakuza.

Consiste nell’amputazione delle falangi del dito mignolo, di solito autoinflitta, per mostrare costernazione e pentimento sincero verso i propri capi quando un membro del clan si macchia di colpe gravi.

Anche questa, come altre pratiche, deriva dal periodo Edo degli antichi samurai.

Il mignolo garantiva una presa ottimale sull’elsa della spada, per cui farne a meno era un handicap non di poco conto in quanto il guerriero diventava così più debole, e quindi più bisognoso di protezione da parte del capo.

Lo Yubitsume è un gesto estremo di sottomissione che va molto oltre la semplice punizione fisica.

Tutt’ora esiste un vero e proprio rituale per un corretto yubitsume.

Su un telo si stende la mano col palmo rivolto verso il basso, si recide la falange di netto per poi avvolgerla immediatamente nel telo stesso per porgerlo al proprio kumicho (il capo supremo).

In Giappone esistono dei protesisti specializzati nel creare dita di silicone per i membri della Yakuza, affinché passino inosservati tra la folla… qualora i tatuaggi non fossero un segno di riconoscimento sufficiente.

Irezumi: opere d’arte criminale

E parlando di tatuaggi Irezumi (irenu-sumi, ossia “inserire inchiostro”), questi si sono sviluppati in Giappone nella forma in cui li conosciamo noi occidentali nel periodo Edo (1603-1868).

È stato allora che i capi delle bande di fuorilegge iniziarono a coprire il proprio corpo con questi disegni coloratissimi come marchio di distinzione dal resto del popolo, usanza mutuata poi dai giocatori d’azzardo che hanno costituito, qualche tempo dopo, la “moderna” Yakuza.

Sapete che, proprio per questo, in Giappone è assolutamente proibito mostrare anche il più piccolo tatuaggio in quasi tutti i luoghi pubblici? Se avete degli Irezumi e avete intenzione di andare al mare sulle coste giapponesi, abituatevi a essere guardati maluccio!

La tecnica tutt’oggi utilizzata per un buon Irezumi è quella di usare un sottile bastoncino di bambù chiamato hari con tanti piccoli aghi sulla sommità (tecnica Tebori). Una procedura dolorosissima e lenta, il cui completamento richiede anni, ma è l’unica che assicura colori e sfumature altrimenti non riproducibili.

I soggetti più amati sono animali reali o immaginari, demoni e divinità tradizionali, soggetti macabri (teste di samurai mozzate), carte da gioco e figure femminili, il tutto armonizzato sullo sfondo da elementi floreali.

I membri della Yakuza sono soliti ampliare sempre più i propri Irezumi a ogni “avanzamento di grado” ed è quello che accade anche ad Aaron in Black Sakura, che inizia con un primo e doloroso rito di iniziazione (il Sakazuki Shiki) e termina con… ah no, questo dovrete leggerlo su Amazon!

La Yakuza in Black Sakura: gli yato sokaiya

La Yakuza narrata in Black Sakura mantiene tutte le caratteristiche originarie, pur essendosi impiantata in un contesto diverso (il romanzo è ambientato a Los Angeles).

I mafiosi del Kabuto-kai e del Sakana-gumi si muovono in un territorio ostile, dove faticano a imporsi sulle altre bande locali per il controllo dei loro traffici principali. Ma eroina, prostituzione e gioco d’azzardo non sono i loro unici interessi, perché la mafia giapponese in America è attiva anche e soprattutto ai piani alti della finanza internazionale.

Ed è qui che entra in gioco la figura dello yato sokaiya, che sono dei soci di minoranza che irrompono nei consigli di amministrazione delle grandi società per minacciare i presenti (di solito i soci di maggioranza e i CEO) di rivelare informazioni sensibili alla stampa, creano scompiglio e si macchiano di insider trading… naturalmente sempre con i loro metodi poco ortodossi.

Il personaggio di Shinji Matsumoto, in Black Sakura, si è guadagnato il soprannome di Oni non solo per il suo lavoro di estorsione… ma anche questo, come tanto altro relativo agli usi, costumi, teste e dita mozzate, ideologie e sadica metodicità, è narrato con dovizia di particolari nel mafia romance che mi ha portato via un anno e mezzo tra studio, stesura, ritocchi e intrecci vari.

Spero che questo viaggio tra sangue, cultura, passione e amore vi lasci qualcosa.

Perché i fiori di ciliegio sono effimeri come la vita, ma i loro petali sono rosati anche a causa del sangue dei samurai di cui si nutrono da centinaia di anni.

[naaa asin=”B093FWXVSY”]

Maria Antonietta Capasso

Maria Antonietta Capasso

Sociologa, scrittrice e illustratrice freelance, studente di Lettere.
Racconto storie, in parole e immagini: amo esplorare tematiche criminali, sociali e d’attualità, mescolandole a storie d’amore intense e passionali.

Potrebbe piacerti...